Mi affascina il mistero delle vite,
che si dipanano lungo la scacchiera
di giorni e strade, foto scolorite,
memorie di vent’anni, di una sera.
Mi coinvolge l’eterno gocciolare
del tempo sopra il viso di un passante
e il chiedermi se, nei suoi tratti, appare
l’insulto di una morte o di un amante.
Il mondo visto con gli occhi asfaltati,
rincorrendo il balletto delle ore,
noi che sappiamo dove siamo nati,
ma non sapremo mai dove si muore.
Mi piace rovistare nei ricordi
di altre persone, inverni o primavere,
per perdere o trovare dei raccordi
nell’apparente caos di un rigattiere.
Quadri per cui qualcuno è stato in posa,
un cannocchiale che ha guardato un punto,
un mappamondo, due bijoux, una rosa,
ciarpame un tempo bello e ora consunto.
Oggetti che qualcuno ha forse amato
ora giaccion lì, senza padrone,
senza funzione, senza storia o stato,
nell’intreccio di caso o di ragione.
E la mia vita cade in altre vite
ed io mi sento solamente un punto,
lungo la retta lucida e infinita
di un meccanismo immobile e presunto.
Tu sei quelli che son venuti prima,
che in parte hai conosciuti e quelli dopo,
che non conoscerai come una rima
vibrante, bella, però senza scopo.
Non saprai e non sai questo dolore
che vagli tra le maglie di un tuo cribro,
svanisce un po’ nel contemplare un fiore
si scorda fra le pagine di un libro.
Perché non si fa a meno di altre vite,
anche rubate a pagine che sfogli,
oziosamente e ambiguo le hai assorbite
da fantasmi inventate che tu spogli.
Rivestendoti in loro piano piano,
come se ti scoprissi in uno specchio
l’uomo Dublino o l’ultimo Mohicano,
che ai 25 si sentiva vecchio.
Perché la nostra è insufficiente appena,
ne mescoliamo inconsciamente il senso:
siamo gli attori ingenui su una scena
di un palcoscenico misterioso e immenso.
(A. Celentano)
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